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Cosa vediamo quando vediamo?

2020-10-16 17:19

Chiara Tonnoni

Cosa vediamo quando vediamo?

In un mondo così vario e diversificato, che tenta con fatica, di dare più diritti e visibilità a tutti, la rappresentazione nei media deve cambiare, ma come?

Sono molti anni ormai che il problema della rappresentazione e la standardizzazione dei ruoli nelle narrazioni mediali (dai telegiornali ai giornali e anche e soprattutto su quelle più popolari cinema e televisione) è centrale nell’industria dell’intrattenimento.

 

La questione è di estrema rilevanza perché è stato studiato e provato che la nostra percezione e quindi ciò che conosciamo, che ci è familiare e che di conseguenza normalizziamo deriva in gran parte da ciò che ci viene mostrato e quindi di come il mondo viene rappresentato nei media.

La rappresentazione sul grande e piccolo schermo, la forza della narrazione cinematografica e televisiva, impatta sulla nostra vita e sulla nostra percezione del mondo. Andando a impattare sulla nostra parte sensibile ed emozionale, un certo tipo di narrazione (e le rappresentazioni inserite nello storytelling) crea un’idea in noi più forte della realtà stessa. Sono meccanismi, naturali e lavorano sulla nostra parte irrazionale, se non li avessimo, non potremmo credere a draghi o a viaggi nello spazio e non piangeremo alla morte di un personaggio in un film e non tratterremo il respiro durante una sequenza pericolosa.

 

Il cinema e la televisione però sono comunque mezzi di intrattenimento, e come tali hanno un ruolo che non è necessariamente quello di rappresentare la realtà (escludendo i documentari o i film d’inchiesta). Le narrazioni (anche quando descrivono un fatto realmente accaduto) possono e devono per motivi artistici, di linguaggio del mezzo e di tempi tecnici, prendersi delle libertà stilistiche. Il cinema e le serie tv, sono prodotti artistici e l’arte talvolta si discosta dalla realtà. Sono altri i media (e le persone che ne hanno il controllo/gestione) che hanno o dovrebbero avere responsabilità maggiori su come viene mostrata e raccontata la realtà, la società e le persone che ne fanno parte. Questo però non toglie che chi ha una piattaforma e una certa visibilità debba prendersi delle responsabilità. Tutto questo ci porta a una riflessione di grandissima attualità: da quando sono iniziate le proteste del Black Lives Matter, molte piattaforme mediali, aziende e multinazionali con sede in USA, ma non solo, hanno preso decisioni nette in direzione di una maggiore e più radicale politica di inclusione e rappresentazione. È vero che non tutte le nazioni sono assimilabili agli USA come varietà etnico-culturali e come situazione sociale. Quello che però si deve considerare è che l’industria dell’intrattenimento audiovisivo è un campo dominato indiscutibilmente dagli USA in percentuale quasi assoluta. Inoltre non possiamo negare che la questione della rappresentazione di gruppi eterogenei è un problema che esiste ormai a livello quasi globale (con impatti diversi e con nazioni effettivamente ancora escluse dal problema). In paesi come l’Italia, con una storia totalmente differente e una storia di immigrazione molto recente, la questione della rappresentazione e della visibilità è fondamentale e importantissima per gli italiani che appartengono a gruppi diversi da quello maggioritario. E’ per questi motivi che il problema della rappresentazione nel settore cinematografico/televisivo statunitense è fondamentale per tutti. 

 

Sono tanti gli attori “non caucasici” (termine usato impropriamente e che definisce un gruppo variegato come standard) che si lamentano della scarsità dei ruoli per loro, o che si entusiasmano per un ruolo da protagonista, perché “alle persone che hanno il mio aspetto non capita spesso”.

L’idea che un attore/attrice, debba avere precise caratteristiche fisiche per rappresentare l’eroe/il protagonista è complessa. Non possiamo negare che talvolta sia assolutamente necessario, proprio in nome di una precisa narrazione che l’attore debba avere precisi tratti somatici, genere, età, orientamento sessuale ecc . Eppure per la maggior parte delle storie che vengono raccontate al cinema o alla tv, l’aspetto, l’etnia o l’orientamento sessuale di un protagonista è totalmente irrilevante ai fini della narrazione. In molti film/serie tv, considerando l’economia della trama, potrebbe essere assolutamente irrilevante persino il genere del protagonista, così come è spesso del tutto irrilevante la sua sessualità. Il fatto che il protagonista sia uomo, etero, “caucasico” è solo abitudine, così come altri ruoli sono legati a tratti somatici/genetici/sessuali precisi per lo stesso motivo. 

Alla luce di questo è quindi fondamentale che la varietà del genere umano venga maggiormente rappresentata in ogni sua forma soprattutto sui media di grandissima diffusione come le narrazioni cinematografiche e televisive statunitensi che invadono tutto il mondo.

 

In questo contesto l’8 settembre 2020 l’Accademy of Motion Pictures Art and Science (quella che indice e consegna gli Oscar) ha annunciato che a partire dalle prossime edizioni dei famosi e amati “Premi Oscar”, ci saranno nuove regole e nuovi standard per essere ammessi al processo di selezione. 

 

Cosa significa?

Significa che ogni autore, casa di produzione, produttore esecutivo, regista ecc. dovrà rispettare degli standard per poter ricevere uno dei tanto ambiti premi.

 

 

Quale ambito riguardano queste regole?

L’ambito di interesse della nuova regolamentazione - che entrerà in vigore a piccoli passi dal prossimo anno per essere completamente operativa dal 2024 (quindi per la notte degli Oscar nel Febbraio 2025) - riguarda appunto la rappresentazione.

Di seguito trovate l’annuncio originale pubblicato dall’Accademy e una buona traduzione in italiano.

Tralasciando l’uso della parola “race”, assolutamente fuori luogo e scientificamente non pertinente su cui scriverò prossimamente, il contenuto si può riassumere in una serie di requisiti minimi in tre aree della produzione: una che riguarda il contenuto e gli attori (parte A), due che riguardano il team tecnico di lavoro dietro le quinte e la possibilità di tirocini e apprendistato (parte B e C).

 

Ognuna di queste parti è divisa in vari punti riguardanti l’inclusione e la rappresentazione di gruppi, etnie, genere, orientamento sessuale, disabilità. Se almeno uno di questi punti per ogni area di produzione è rispettato, il film può partecipare al processo di selezione per gli Oscar.

 

Analizziamo un momento la questione punto per punto. Punto B e C: dal momento in cui si parla di team di lavoro, produzione, addetti, tecnici, registi, sceneggiatori ecc. una maggior integrazione dei team appare assolutamente fattibile, con un impatto senza dubbio positivo, senza risvolti negativi e quindi doverosa.

Guardando alla sezione A la questione non è altrettanto semplice. Come abbiamo detto: spesso è  assolutamente irrilevante che il protagonista o un attore principale abbia un aspetto o un altro, una sessualità o l’altra, eppure questo obbligo risulta inaccettabile. 

 

Il problema si divide in due parti di cui la prima è piuttosto evidente: soprattutto quando si parla di film ambientati nel passato o in alcune aree nel mondo, bisogna anche fermarsi a riflettere che seguire queste norme è impossibile. Pensiamo alle polemiche nate perché nella serie tv Chernobyl non erano rappresentati afroamericani o altre etnie. Devo essere onesta: la sola idea mi fa accapponare la pelle. Nell’Ucraina (URSS) del 1986, l’idea di un afroamericano è solo follia, avrebbe rovinato l’intera credibilità della serie. Se consideriamo la storia alcune cose sono solo assurde da pensare. E nonostante l’estrema necessità di una rivoluzione nell'immaginario dei film e dei protagonisti, non si possono dare le regole di questo tipo alla creatività.  È vero che a ben vedere sono pochi i film in cui c’è questo tipo di necessità, ma in questo modo si rischia di non dare spazio ad alcuni prodotti ottimi. Dall’altra parte, per un puro capriccio formale, potrebbero passare e avere visibilità prodotti assolutamente inferiori qualitativamente o peggio ancora che volontariamente decidono di perpetuare una certa narrazione.

 

Il secondo problema è più complesso e riguarda una inutilità di fondo della regola, perché  (per le regole indicate dall’Accademy) basta avere una co-protagonista donna o un villan arabo o nero che il film supera i requisiti richiesti senza minimamente mettere in discussione lo status quo. Magari si può essere felici del fatto di vedere quella categoria rappresentata, ma in realtà il messaggio lanciato è preoccupante. Nell’esempio appena citato non è cambiato nulla infatti dal punto di vista di rappresentazione delle minoranze presenti: il protagonista sarà comunque un caucasico (anglosassone), maschio e gli altri saranno solo accessori, e quindi dal punto di vista di rappresentazione il messaggio veicolato sarà comunque sempre lo stesso: gli eroi sono uomini bianchi, la donna esiste solo se legata all’uomo e il cattivo ha la pelle scura.

 

Avere una rappresentanza all’interno di una certa narrazione non è necessariamente positivo se la rappresentazione di quella minoranza è degradante o negativa o stereotipata. Il cambiamento non deve essere solo visivo, deve essere contenutistico. Bisogna iniziare a pensare che gli “eroi”, possono essere uomini, donne, trans di ogni etnia o cultura o nazione, e con qualsivoglia orientamento sessuale. Dall’altra parte però obbligare un film che è comunque un’opera creativa a mostrare un certo tipo di storia o rappresentazione - pensiamo a 1917 (Sam Mendes, UK-USA, 2020) o alla serie TV Chernobyl (HBO, Sky Atlantic, USA-UK, 2019) - è limitante e rischia di interferire con il processo creativo.

 

In questi due esempi infatti, che per motivi di storia, di coerenza narrativa e verosimiglianza non possono contenere nessuno dei requisiti del punto A sarebbero considerati prodotti non degni di un Oscar e visti come “razzisti o omofobi ecc”, nonostante non veicolino niente di tutto ciò deliberatamente. Semplicemente nella storia raccontata non può essere possibile per motivi di scrittura e coerenza con la realtà storica avere un cast diverso. Si potrebbe lavorare sulla trama, è vero, ma allora sarebbero film diversi.