“Preferiresti combattere contro un’anatra alta come un cavallo oppure contro 100 cavalli grandi quanto un'anatra?” Così si è aperto un corso di formazione per youth workers - facilitatori e formatori di progetti e corsi per i giovani - al quale ho partecipato recentemente. Ammetto che la domanda risulti piuttosto bizzarra perché, diciamocelo, in natura non esistono né cavalli minuscoli né anatre di dimensioni gigantesche. Tuttavia, nel mondo ipotetico a cui spesso ricorriamo noi youth workers tutto può esistere, tutto può essere, a prescindere da quanto ci sembri bizzarro. Ed è proprio questo mondo ipotetico che spesso porta le ragazze e i ragazzi con cui lavoriamo a riflettere su loro stessi, sui loro interessi e sulle loro inclinazioni così come sulla società/comunità in cui vivono.
Quindi: “un'anatra alta come un cavallo oppure 100 cavalli grandi quanto un'anatra?” “Che scelta inconsueta, ma poi perchè dovrei proprio battermi con uno di questi animali?” “Però devo pur dare una risposta”. Così, dopo averci pensato su e, posto che nel mondo dei preferiresti non c’è via di scampo dalla scelta tra due opzioni altrettanto valide, mi sono lasciato guidare dall’istinto più che dalla logica e ho condiviso la mia risposta nel gruppo senza pormi troppe domande. In definitiva era un quesito posto per rompere il ghiaccio, un quesito magari suscettibile di interpretazione personale, ma pur sempre posto con lo scopo di avviare una conversazione tra persone che non si conoscono. Dopo l’incontro mi sono trovato a riflettere in maniera particolare su questo "preferiresti" e ci ho visto qualcosa in più di un semplice gioco, anzi vi ho riscontrato un parallelismo con le strategie decisionali che portano alla risoluzione dei problemi. Proprio questa scelta tra due situazioni, entrambe altrettanto impossibili, mi ha dato modo di riflettere su quell’arte tipica dell’età adulta che ci porta ad analizzare i problemi e definire una soluzione, non solo possibile, ma anche viabile, che si trovi in qualche modo tra gli estremi del “voglio” e del “devo”.
La risoluzione dei problemi (o problem solving in inglese) non è una dote innata, bensì una competenza che si apprende e si affina col tempo. Si parla quindi di strategie risolutive, di esercizio di logica e di capacità di analisi. Tuttavia, questo esercizio non ha sempre una risposta univoca e non richiede sempre l’utilizzo degli stessi strumenti. Saper risolvere problemi, semplici o complessi che siano, richiede un’ampia conoscenza di sé stessi, una minuziosa capacità di analisi della situazione e delle possibili soluzioni, spesso alternative, che permettano di superare la situazione di stallo causata dal problema. Quando qui parlo di stallo mi riferiscono sia a situazioni interne alla persona, per esempio prendere una decisione sulla propria vita professionale o personale, così come situazioni esterne, ossia prendere una decisione relativa ad un determinato lavoro che si sta svolgendo.
Affrontare problemi complessi richiede uno sforzo, richiede cioè di attivare quello che Berne definisce come lo stato dell’io adulto, il quale ci permette di vagliare una platea di soluzioni possibili e di scegliere quella che meglio si adatta al caso specifico. L’io adulto pur agendo esclusivamente nel mondo del possibile, da solo non riesce a scegliere e si trova a dover fare i conti con il dovere, tipico dell’io genitore, e con il volere, tipico dell’io bambino. Dalla dialettica di queste tre componenti nasce qualunque decisione prendiamo.
Questa dialettica ha luogo in tutte le persone con tempi e modi diversi a seconda di quale sia la composizione individuale degli stati dell’io: coloro che conoscono bene i propri doveri così come coloro che seguono i propri desideri e che quindi sono maggiormente indirizzati al raggiungimento di un risultato, avranno percorsi decisionali molto più veloci di chi, invece, vuol conoscere tutte le soluzioni possibili, analizzarle secondo criteri predefiniti e poi scegliere quella migliore. In questo senso dobbiamo immaginare l’adozione di una strategia risolutiva come il risultato di una “riunione di condominio” in cui più voci dialogano e raggiungono un qualche accordo che si adatta bene alla personalità del decisore. La risoluzione dei problemi non richiede quindi uno sforzo di comprensione e applicazione delle tecniche, bensì di introspezione per capire quale tecnica si confà di più alla propria composizione dell’io e quali sono gli spazi all’interno dei quali lavorare per giungere alla soluzione. La conoscenza di sé è inoltre necessaria per allineare le proprie scelte con i propri desideri e aspirazioni: in questo senso, senza sapere l’obiettivo prefissato è difficile innescare un processo di problem solving.
Tornando al nostro dilemma di partenza, è possibile adesso vedere come la decisione di affrontare le anatre giganti oppure i cavalli nani rappresenti la scelta di una strategia di risoluzione dei problemi derivante proprio dal dialogo tra gli stati dell’io. In particolare, si vedono i due approcci rivali: da un lato, gli orientati al risultato rapido che affrontano i problemi in maniera unitaria – per citare il mio professore di filosofia del diritto, chiamerei questa categoria “interisti” – dall’altro, gli orientati alla logica, che dividono il problema in parti più piccole e ne affrontano una per volta, senza raggiungere immediatamente la soluzione finale – categoria che potremmo definire gli “scompositori”. La distinzione in categorie ci chiarifica proprio il nesso con il punto di partenza. Gli “interisti” saranno portati a scegliere l’anatra della stazza di un cavallo, mentre gli “scompositori” saranno più propensi ai 100 cavalli a misura di anatra. Ma, badate bene, nessuno dei due ignora l’obiettivo da raggiungere, nessuno dei due tralascia valutazioni di tipo logico, anzi, posti di fronte alla scelta del “far fuori” il proprio problema i primi scelgono una strategia che li porta velocemente al risultato, mentre i secondi preferiscono la strada lunga che li porta a focalizzarsi su una parte di problema per volta.
Questa divisione non è meramente teorica e immagino cha a questo punto molti di voi abbiamo già identificato la categoria di appartenenza o di affinità e che abbiano già tratto alcune conclusioni su sé stessi. È, tuttavia, degno di nota il fatto che la scelta delle strategie risolutive non è un problema della modernità, ma che di questo si discute fin dall’inizio della storia dell’umanità. In chiave mitologica affrontare l’anatra gigante è un po’ come Davide che affronta Golia mentre la scelta dei 100 cavalli grandi quanto anatre ricorda lo scontro tra gli Orazi e i Curiazi. Non mi dilungherò su come il giovane pastorello Davide uccida Golia con una fionda o su come la fuga del terzo fratello Orazi permetta a questo di uccidere tutti e tre i gemelli Curiazi e vincere la guerra contro Albalonga, ma in entrambi i casi i protagonisti dei racconti scelgono una delle due strategie tratteggiate sopra e riescono nelle loro imprese. I protagonisti, infatti, conoscono senz’altro se stessi, hanno presente il proprio obiettivo, analizzano il contesto e agiscono di conseguenza giungendo, in modi e con tempi diversi, al risultato.
Quindi, tornando al nostro dilemma: un approccio è migliore dell’altro? In senso assoluto la risposta è no, ma a livello individuale assolutamente si. Per questo all’inizio ho detto che il problem solving richiede conoscenza di se stessi, richiede cioè uno sforzo di capire quale sia il proprio mix degli stati dell’io e quale sia la strategia risolutiva che più si adatta alla propria personalità. Spesso una strategia di risoluzione dei problemi è fallimentare perché non è adatta alla personalità del decisore o perché il decisore non ha considerato le variabili e i problemi insiti nei due modi di risoluzione. Infatti, da un lato gli “interisti” devono stare attenti a non farsi sopraffare dalla voglia di risultato e quindi a tralasciare alcune componenti del problema che potrebbero allontanare dalla soluzione stessa e anzi aprire la strada al fallimento. Dall’altro lato, il problema principale degli “scompositori” è proprio quello di definire a priori i criteri per adottare la soluzione: senza dei criteri specifici si rischia di andare avanti in circolo e di fare analisi continue valutando ogni singolo aspetto e aggiungendo criticità, sommando così più e più soluzioni, tra le quali diventerà impossibile scegliere.
Inoltre, come tutte le competenze che si apprendono nel percorso di crescita, anche la capacità di risolvere problemi ha bisogno di un certo grado di flessibilità e adattabilità, per fare in modo che si possano trovare soluzioni consone senza irrigidirsi su schemi prefissati e modalità già sperimentate. Non è detto che un metodo porti sempre allo stesso risultato: spesso ci si trova di fronte a contesti che impongono scelte obbligate e che quindi richiedono di adattare le nostre strategie risolutive. Coloro che hanno un buon equilibrio tra le componenti dell’io sapranno sicuramente adattarsi meglio al contesto ed essere più flessibili circa il metodo risolutivo da adottare, mentre chi ha uno stato predominante sugli altri avrà una maggiore difficoltà di adattamento. Ancora una volta la chiave d’uscita dall’impasse è la conoscenza di se stessi, che aumenta senza dubbio l’efficacia delle decisioni e soprattutto la praticabilità della strategia risolutiva individuata, in modo da focalizzare gli sforzi sul raggiungimento del risultato sperato. Da questo punto di vista, più che la conoscenza del mito di Davide e Golia o della leggenda degli Orazi e Curiazi, potrebbe tornarci utile seguire la nota esortazione “γνῶθι σεαυτόν” (gnōthi seautón - conosci te stesso) iscritta nel tempio di Apollo a Delfi.
Tutto questo ragionamento vale a livello individuale e diventa utile nel capire quale strategia risolutiva è più adatta a ognuno di noi. Pensate, invece, a quando i nostri metodi di risoluzione devono combinarsi con altri, magari in un team molto variegato, che vede problemi e soluzioni in modi diversi. Qui il gioco si fa divertente: si passa da una “riunione di condominio” ad una vera e propria “assemblea di quartiere” dove gli stati dell’io non dialogano solo tra di sé internamente, ma si trovano a dover parlare anche con i loro corrispettivi nelle altre persone. Per ora rimandiamo quest’argomento ad una trattazione successiva.
Sarebbe stato estremamente interessante confrontarmi sul tema delle interpretazioni della domanda con i miei colleghi nel corso di formazione di cui sopra, scoprire a cosa hanno legato loro la scelta e, magari, scambiarci delle idee sulle strategie di problem solving. Purtroppo, le esigenze del training non ce lo hanno permesso e mi sono limitato a rispondere “senza dubbio i 100 cavalli grandi quanto un’anatra: è sempre più facile affrontare un problema alla volta” facendo trapelare quella che poi è stata la mia riflessione successiva e schierandomi con quella metà della classe che per un motivo o l’altro ha fatto la stessa scelta.
Ah che mondo stimolante quello dei "preferiresti"…