A cura di Anida Hilviu
Consuelo, in che cosa consiste il tuo ruolo all’interno di una multinazionale come l’IBM?
Rivesto il ruolo di Diversity Engagement Partner - o anche Diversty Manager, Diversty Leader - in IBM dal gennaio 2016. Mi occupo di diversty, vale a dire di tutte le tematiche relative alla Diversità che l’azienda vuole perseguire. E dal momento che la diversity è storia in IBM, da sempre l’azienda appoggia tali politiche, le pratiche seguite sono tutte: gender diversity (differenza di genere), LGBT (differenza di orientamento affettivo e sessuale), generational diversity (differenza generazionale), multicultural diversity (differenza di cultura), work-life balance (bilanciamento tra vita privata e lavoro) e PWD, people with disabilities (persone con disabilità). Nelle vesti di questo ruolo si promuove innanzitutto la diversity e l’inclusione aziendale all'interno e all’esterno sviluppando molte attività di networking con altre aziende, altre realtà, ad esempio associazioni, enti e PA. L'obiettivo è ampliare il network per diffondere la cultura della diversità, non solo internamente, con sezioni di formazione mirate sui dipendenti e sul management; organizzazione e progettazione di eventi che riguardano un po’ tutti i temi della diversity in ogni ambito. Diciamo che ogni tematica ha il suo mese di riferimento: giugno è stato il mese del pride, marzo per le donne, dicembre sarà il mese dedicato alla disabilità. In passato, sempre per IBM, mi sono anche occupata di disabilità, in particolare di accessibilità in senso lato per la Pubblica Amministrazione, lavorando presso la sede di Roma.
Da alcuni report di importanti realtà, tra cui l’ONU, Eurofound e Fondazione Di Vittorio, emerge che la maggior parte dei lavoratori, soprattutto donne, hanno difficoltà a svolgere le mansioni in smartworking, tu come ti sei trovata?
Mi sono trovata bene, perché sono da sempre abituata a lavorare in modalità smart working, ma non possiamo definirlo tale perché non si poteva, chiaramente, decidere dove lavorare e non ha avuto le caratteristiche che dovrebbe avere lo smart working. Lo chiamerei piuttosto remote working o telelavoro. Se il lavoro che ho da fare posso svolgerlo da casa, lo svolgo volentieri in modalità smart working, altrimenti mi reco in ufficio a Milano, e se non sono in ufficio, sono in giro per attività con altre aziende o realtà. Ma spesso mi capita di lavorare da casa e l’azienda mette a disposizione gli strumenti adeguati per poterlo fare. D’altro canto stiamo parlando di un'azienda tecnologica e quindi sicuramente avvantaggiata in questo senso.
In questo periodo di lockdown, hai lavorato all'implementazione di progetti e politiche per colmare il divario del gender gap?
Non ho lavorato solo in questo periodo per colmare il gender gap, che comunque rimane un obiettivo aziendale e quindi anche precedentemente abbiamo portato avanti politiche in questa direzione. Adesso abbiamo il vantaggio di fare tutto online ma programmi e iniziative vengono portate avanti sempre da IBM, vengono supportati visioni per favorire la leadership al femminile con il programma 30% club, per incrementare appunto la quota femminile nelle posizioni chiave. Abbiamo attivato anche una serie di collaborazioni con le associazioni, in particolare con Valore D, la principale in ambito italiano, che riunisce le aziende per riequilibrare il divario di genere. Al nostro interno abbiamo gruppi di lavoro al femminile, Women in technology, ovvero donne che si occupano prettamente di tecnologia e che danno vita a dei progetti su cui lavorano delle altre donne, come il progetto Non è roba per donne?, nato grazie alla collaborazione con le Università per incentivare le ragazze a studiare materie scientifiche-tecnologiche.
Secondo te perché ancora nel 2020 c’è differenza retributiva tra lavoratori e lavoratrici? E con disabilità? E di decision-making?
La ricollego a una serie di bias che si sono verificati nel corso della storia. Leggevo che ci sarà equiparazione tra 200 e passa anni. Siamo abbastanza in fondo tra gli Stati UE come numero di donne lavoratrici. Se entriamo nel tema disabilità, donne con disabilità occupate sono un numero decisamente inferiore rispetto al numero maschile - già inferiore ai non disabili. Meno male che se ne parla, ma ne dobbiamo parlare ancora.
Cosa dovrebbe fare un Diversity Manager per favorire gli avanzamenti di carriera delle donne con (e) senza disabilità?
Quello che stiamo facendo: parlarne. Tutto quello che facciamo è teso a un cambiamento culturale, Il Disability Manager deve “seminare”. La cosa più difficile da scalfire sono i pregiudizi.
Quale strategia di accomodamenti ragionevoli consigli a una o a un giovane Disability Manager per favorire l’inclusione di una lavoratrice con disabilità certificata del 100%, che ha magari un diverso orientamento sessuale? Considerato che tra le competenze del Disability Manager c’è anche quella di controllare eventuali discriminazioni di genere, cultura e orientamento affettivo e sessuale.
Stare in ascolto, capire le necessità materiali ma non solo. In questo periodo si è parlato molto di strumenti e tecnologia, ma c’è tutta una sfera di cui non si è parlato. Crisi non gestita da un punto di vista empatico, aspetto relazionale non molto contemplato, e anche questa è emergenza. Quando parto dall’ascolto, posso identificare meglio i bisogni della persona nell’ambito specifico, ogni situazione è a sé, non è possibile standardizzare. Un buon Disability Manager deve adottare un manuale per ogni situazione che si ritrova davanti. La diversità è concepita purtroppo come eccezione, quando non sarà più concepita così, saremo sulla strada giusta.
Cosa ci ha insegnato o cosa auguri abbia insegnato questa esperienza di pandemia alla società civile per quanto riguarda le persone con disabilità?
A questa domanda si può rispondere solo con uno studio mirato ex post. Serve recuperare le esperienze e studiarle. Siamo talmente abili e veloci che facciamo presto a dimenticare. Si spera che l'emergenza sanitaria abbia fatto comprendere alla società civile quale sia la condizione ordinaria delle persone con disabilità e quindi mi auguro che questa esperienza di condivisione non rimanga un evento isolato nel tempo, ma sia proficuo ai fini della reale inclusione, e aiuti a trovare soluzioni creative.
Quale attributi o caratteristiche dovrebbe avere un/a giovane per intraprendere la carriera di Diversity Manager o Disability Manager?
È una domanda che mi pongono in tanti. Ma quale master devo frequentare? Ma quali testi devo leggere? Tutte informazioni utili al raggiungimento dell’obiettivo, ma credo si debba partire dalla persona, dalla predisposizione all’ascolto. Essere empatico verso gli altri, calarsi nelle varie situazioni. Io svolgo la parte più bella del lavoro in HR, quella appunto che riguarda le persone e l‘inclusione, dove appunto la finalità è quellla di non escludere.